| Mi sono imbattuto, sempre relativamente alle questioni del trattato di pace, in uno scritto, riportato, del famoso ambasciatore Italiano in Russia e poi in Francia, Pietro Quaroni, che, superata la delusione nel 1947 su quello strumento diplomatico, negli anni Sessanta ebbe a fare delle considerazioni diverse, francamente, per certi aspetti, a me ignote nella dimensione rappresentata, a cui io stento persino a credere. Sappiamo tutti che la Francia nel 1945 occupò la Valle d'Aosta e parti della Liguria e del Piemonte come sappiamo che la Jugoslavia, con degli avamposti, arrivò fino al Tagliamento così come c'era, tra gli Occidentali e particolarmente in Gran Bretagna, l'idea di trasferire la Provincia di Bolzano all'Austria. Non ho, tuttavia, mai pensato che, all'atto dell'armistizio Italiano, le opinioni degli anglo-americani, a proposito delle perdite territoriali che l'Italia avrebbe dovuto subire, erano assai, ma dico assai, punitive. Sarà vero? Certo, Quaroni, insieme a Tarchiani, era fra i diplomatici più stimati, non saprei dunque. Comunque, per la più ampia informativa, sottoelenco un excerpta del suo pensiero. La prima parte è dedicata ad alcune considerazioni dell'ambasciatore Antonio Meli Lupi di Soragna, proprio colui che fu delegato a firmare il trattato di pace e ad apporvi il suo personale sigillo gentilizio (era un nobile) in mancanza di quello della appena nata Repubblica Italiana.
"Sul piano territoriale, le lievi perdite sulle Alpi Marittime al confine con la Francia, la conservazione della frontiera settentrionale al Brennero non potevano compensare la perdita della Venezia Giulia, che costituiva senza dubbio l’aspetto più doloroso, ma quell’esito, inscritto negli eventi politico-militari del maggio-giugno 1945 al confine orientale, non era più stato possibile sovvertirlo, nel tentativo di conservare quanto restava della collaborazione tra le potenze vincitrici, un obiettivo che ingiustamente finiva per sacrificare le legittime aspirazioni dei giuliani di lingua italiana. Oggi come allora, evocando l’ombra di Versailles sulla Germania sconfitta nella prima guerra mondiale, qualcuno ha voluto parlare di Diktat, di trattato punitivo, imposto dai vincitori. L’ambasciatore Soragna al Presidente del Consiglio e ministro degli esteri, De Gasperi. Nella sintesi del colloquio l’ambasciatore non manca di sottolineare come il giudizio di Byrnes sulla futura consistenza della forze armate italiane anticipi decisioni che formalmente la conferenza doveva ancora ratificare. Ma, se si pone mente agli aspetti territoriali, questo è un punto di vista che può anche essere corretto e perfino rovesciato. Pietro Quaroni, che, nel ruolo di ambasciatore e di partecipe alle trattative, condivise all’epoca la delusione per quel risultato e si espresse contro la sottoscrizione del Trattato, ripercorrendo quelle vicende negli anni Sessanta, in sede di valutazione storica ha temperato il suo giudizio: "Anche se certi atteggiamenti non possono essere presi, per varie ragioni, come vera manifestazione di una precisa volontà alleata, non andrebbe sottovalutato il fatto che, all’epoca del nostro armistizio, si ragionava in termini di indipendenza alla Sicilia ed alla Sardegna, di un largo tratto del Piemonte e della Liguria e dell’isola d’Elba da attribuirsi alla Francia, e del Tagliamento come possibile frontiera fra l’Italia e la Jugoslavia. Ora se si compara il punto di partenza con il punto d’arrivo, per quanto dolorose possano essere state le perdite territoriali che l’Italia dovette subire, bisogna ben riconoscere che delle idee iniziali era rimasto ben poca cosa. E sotto questo punto di vista non si potrebbe negare che il successo dell’Italia e della diplomazia italiana è stato rimarchevole. (...) L’opinione pubblica italiana è stata [però] portata a giudicare i risultati dei negoziati di pace non in base ad una situazione di partenza, della quale essa non era mai stata informata, ma in base alle illusioni che si erano lasciate accreditare; e [ha], quindi, non a torto, considerata come una sconfitta diplomatica quella che in realtà era stata una vittoria quasi insperata. Alla procedura di un trattato collettivamente concordato tra le venti potenze «alleate e associate» e accettato dall’Italia, si opponeva quale unica alternativa – lo argomenta lo stesso Byrnes nel suo colloquio più sopra citato – una serie di paci separate, in ognuna delle quali sarebbe stato consentito al paese vincitore di avanzare, quanto meno sul piano dei risarcimenti materiali, richieste economiche la cui risultante sarebbe stata alla fine insostenibile per il paese vinto."
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