Vorrei aprire un filone sulla cittadinanza. L’argomento è vastissimo e incasinatissimo, perché tratta dei diritti delle persone. Non posso affrontare tutti gli aspetti, vedrò di trattare i più interessanti. Inizio con la cittadinanza che spesso crea più problemi: la iure sanguinis, cioè la discendenza diretta e non spezzata da un avo italiano emigrato. Le istanze di riconoscimento della cittadinanza italiana ex articolo 1 della legge 13 giugno 1912, n.555 (ora legge n. 91/1992, cioè per iure sanguinis), dovranno essere indirizzate al Sindaco del Comune italiano di residenza, ovvero al Console italiano nell’ambito della cui circoscrizione consolare risieda l’istante straniero originario italiano. Le stesse dovranno essere corredate dalla seguente documentazione: A. estratto dell’atto di nascita dell’avo italiano emigrato all’estero rilasciato dal Comune italiano ove egli nacque; B. atti di nascita, muniti di traduzione ufficiale italiana, di tutti i suoi discendenti in linea retta, compreso quello della persona rivendicante il possesso della cittadinanza italiana; C. atto di matrimonio dell’avo italiano emigrato all’estero, munito di traduzione ufficiale italiana se formato all’estero; D. atti di matrimonio dei suoi discendenti, in linea retta, compreso quello dei genitori della persona rivendicante il possesso della cittadinanza italiana; E. certificato rilasciato dalle competenti Autorità dello Stato estero di emigrazione, munito di traduzione ufficiale in lingua italiana, attestante che l’avo italiano a suo tempo emigrato dall’Italia non acquistò la cittadinanza dello Stato estero di emigrazione anteriormente alla nascita dell’ascendente dell’interessato; F. certificato rilasciato dalla competente Autorità consolare italiana attestante che né gli ascendenti in linea diretta né la persona rivendicante il possesso della cittadinanza italiana vi abbiano mai rinunciato ai termini dell’art. 7 della legge 13 giugno 1912, n. 555; G. certificato di residenza All’epoca della circolare, l’onere di reperire tutta la documentazione di fatto ricadeva sull’interessato, ora solo quello della documentazione straniera; quella disponibile in Italia o presso uffici pubblici italiani (certificato consolare che né l’interessato, né gli ascendenti in linea retta hanno mai rinunciato alla cittadinanza italiana) deve essere richiesta d’ufficio dal comune o dal consolato. E’ compito dell’ufficiale di stato civile: - svolgere adeguate indagini presso il comune italiano d’origine o di ultima residenza dell’avo italiano emigrato o presso il Comune di Roma (perché molti atti di nascita di italiani avvenuta all’estero erano un tempo trascritti nel comune di Roma, dove ‘sparivano’ come in una voragine; credo che ormai nessuno più lo faccia perché è praticamente impossibile avere una risposta…) - verificare la regolarità e l'autenticità dei documenti prodotti quando possa avere dubbi al riguardo (Ministero dell'Interno, circolari 1 giugno 2007, n.26 "Falsificazione di atti nella procedura per il riconoscimento della cittadinanza italiana" e 20 gennaio 2009, n.4 "Falsificazione di documenti nelle procedure per il riconoscimento della cittadinanza italiana jure sanguinis"); - verificare la coerenza dei dati e il contenuto dei documenti (assenza di dati inesatti o insufficienza dei documenti e informazioni contenute: controllo di carattere sostanziale); - accertare il mancato esercizio – da parte dei discendenti dall'avo emigrato dall'Italia e da colui che chiede il riconoscimento della cittadinanza italiana - della facoltà di rinunciarvi ex articolo 7 della Legge 13 giugno 1912, n. 555, prendendo contatto con le Rappresentanze consolari italiane competenti per le varie località estere ove gli interessati abbiano avuto la residenza. (in pratica se uno è stato residente in Argentina, USA e Canada, devono essere contattati tutti i consolati italiani competenti nei tre paesi; lo stesso se uno dei suoi ascendenti sia stato residente, per es., in Brasile e Portogallo). L’ufficiale di stato civile deve, pertanto, aspettare di avere tutta la documentazione in mano, non può procedere se manca qualcosa. In particolare deve aspettare i tempi biblici dei consolati. Prima della legge 13.06.1912, vigeva il Codice civile del 1865,il quale prevedeva che, se un cittadino italiano avesse perso la cittadinanza italiana, i figli minori e la moglie la perdevano anch’essi. Con la legge del 1912, invece, i figli minori non perdevano più la cittadinanza ma la mantenevano, anche se ne acquistavano un’altra iure loci, cioè per nascita. Importante è che la cittadinanza italiana veniva trasmessa dal padre,non dalla madre, salvo il caso che il padre fosse sconosciuto. Solo con l’entrata in vigore della Costituzione, il 1.1.1948, anche le donne trasmettono la cittadinanza in tutti i casi. L’assurdo della situazione è stato che la Costituzione stabiliva la parità fra i sessi, ma per la cittadinanza continuava a vigere la legge del 1912, con la sua impostazione decisamente maschilista. La sentenza della Corte Costituzionale n. 30 del 1983, finalmente, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 1, n. 1, della legge n. 555 del 1912, nella parte in cui non prevedeva che fosse cittadino per nascita anche il figlio da madre cittadina. La sentenza della Corte Costituzionale n. 87 del 1975, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma terzo, della legge 13 giugno 1912. n. 555 (Disposizioni sulla cittadinanza italiana), nella parte in cui prevedeva la perdita della cittadinanza italiana, indipendentemente dalla volontà della donna che sisposava con cittadino straniero. La Corte ha ritenuto che la norma violava palesemente anche l’art. 29 della Costituzione, in quanto comportava una gravissima disuguaglianza morale, giuridica e politica fra i coniugi e metteva di fatto la donna in uno stato di notevole inferiorità, privandola automaticamente, per il solo fatto del matrimonio, dei diritti come cittadina italiana. La Cassazione. civile Sez. Unite con Sentenza n. 4466 del 25/02/2009 afferma: “la titolarità della cittadinanza italiana va riconosciuta in sede giudiziaria, indipendentemente dalla dichiarazione resa dall’interessata ai sensi della L. n. 151 del 1975, art. 219, alla donna che l’ha perduta per essere coniugata con cittadino straniero anteriormente al 1 gennaio 1948, in quanto la perdita senza la volontà della titolare della cittadinanza è effetto perdurante, dopo la data indicata, della norma incostituzionale, effetto che contrasta con il principio della parità dei sessi e dell’eguaglianza giuridica e morale dei coniugi (artt. 3 e 29 Cosi.). Per lo stesso principio, riacquista la cittadinanza italiana dal 1° gennaio 1948, anche il figlio di donna nella situazione descritta, nato prima di tale data e nel vigore della L. n. 555 del 1912, determinando il rapporto di filiazione, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, la trasmissione a lui dello stato di cittadino, che gli sarebbe spettato di diritto senza la legge discriminatoria”. La cittadinanza italiana va riconosciuta anche ai figli legittimi di madre cittadina nata prima dell’entrata in vigore della Costituzione, “attesi i caratteri di assolutezza, originarietà, indisponibilità ed imprescrittibilità dello status civitatis, in quanto qualità della persona, rispetto alla quale non può applicarsi la categoria delle ‘situazioni esaurite’, come tali insensibili all’efficacia naturalmente retroattiva delle pronunce di incostituzionalità, se non quando essa sia stata oggetto di un accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato. Gli effetti prodotti da una legge ingiusta e discriminante nei rapporti di filiazione e coniugio e sullo stato di cittadinanza, che perdurino nel tempo, non possono che venire meno, anche in caso di morte di taluno degli ascendenti, con la cessazione di efficacia di tale legge, che decorre, dal 1 gennaio 1948, data dalla quale la cittadinanza deve ritenersi automaticamente recuperata per coloro che l’hanno perduta o non l’hanno acquistata a causa di una norma ingiusta, ove non vi sia stata una espressa rinuncia allo stato degli aventi diritto. Le norme precostituzionali riconosciute illegittime per effetto di sentenze del giudice della legge sono inapplicabili e non hanno più effetto dal I gennaio 1948 sui rapporti su cui ancora incidano, se permanga la discriminazione delle persone per il loro sesso o la preminenza del marito nei rapporti familiari, sempre che vi sia una persona sulla quale determinano ancora conseguenze ingiuste, ma giustiziabili, cioè tutelabili in sede giurisdizionale.” (Tribunale di Roma 6/4/2017). Con il Decreto n. 58 del 15.12.1889, il Governo provvisorio brasiliano introduce la cosiddetta “grande naturalizzazione”. Secondo il decreto, tutti gli stranieri, compresi gli italiani, presenti sul territorio brasiliano alla data del 15.11.1889, giorno di proclamazione della Repubblica, avrebbero ottenuto la “naturalizzazione” brasiliana, a meno che non avessero manifestato entro sei mesi, dinanzi ai rispettivi consolati, la volontà di mantenere la cittadinanza d’origine e non quella brasiliana. La naturalizzazione brasiliana comportava il riconoscimento di tutti i diritti civili e politici di un cittadino brasiliano. Poiché l’art.11 del Codice Civile del 1865, che regolava all’epoca le questioni inerenti la cittadinanza, al c.2 diceva testualmente: (La cittadinanza si perde) da colui che abbia ottenuto la cittadinanza in paese estero. Questo ha dato spunto all’interpretazione, da parte della Corte di Appello di Roma, di una ‘approvazione tacita’ della cittadinanza brasiliana, con perdita della cittadinanza italiana. Il ‘casus belli’ derivava dalla richiesta di riconoscimento giudiziale della cittadinanza italiana da parte di due brasiliani, presso il tribunale di Roma. Il tribunale accoglieva la richiesta ma la sentenza veniva impugnata da parte del Ministero dell’Interno e dal Ministero degli affari esteri. Il ricorso era stato accolto dalla Corte d’appello di Roma che, con sentenza n. 5221/2021, depositata il 15/07/2021, ha respinto la domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana. Ma contro questa sentenza è stato proposto ricorso per cassazione, da parte degli attori soccombenti. Il ricorso è stato ritenuto meritevole di accoglimento e, per la particolare importanza della questione, la causa rimessa alle Sezioni Unite. La sentenza della Corte d’appello di Roma è stata cassata con conseguente rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, per un nuovo esame. La Corte di Appello dovrà attenersi ai principi sanciti dalla Cassazione con sentenze del 24 agosto 2022 n. 25317 e n. 25318. Con queste ultime, la Corte ha finalmente dato un’interpretazione chiara e precisa, in relazione agli effetti del decreto della “Grande naturalizzazione” la quale, ad oggi, non rappresenta più un ostacolo al riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis per gli italo-brasiliani. Con queste sentenze sono stati stabiliti, si spera definitivamente, dei principi di diritto che bisogna osservare in relazione al riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis, cioè per discendenza da avo italiano e al pregnante significato giuridico che va attribuito all’espressa manifestazione di volontà quando si tratta di un diritto, quello della cittadinanza, che ha natura permanente e imprescrittibile. La cosa veramente assurda di questa vicenda è che, mutatis mutandis, più o meno alle stesse conclusioni era già giunta la Corte di Cassazione di Napoli nel 1907…
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