CITAZIONE (patriotafederico @ 30/12/2011, 19:49)
L'occasione c'era, e pure il casus belli, ma tuttavia a causa del servilismo dei politici verso lo straniero, oltre ovviamente alle proteste "pacifiste" della sinistra di allora, (nonostante il pci non fosse più presente la stessa aveva finalmente conquistato il parlamento) e agli stranieri, intenzionati ad acquisire il massimo guadagno da quel conflitto, da notare come la comunità europea, pronta a trasformarsi in ue (e lì si sarebbe rovinata) non è intervenuta nè ha fatto niente, lasciando agli usa i comodacci loro di fare tutto, comprese le basi militarizzate. Poi, come ha detto Fulvio, la Germania, per quanto fosse da poco uno stato "indipendente" (e per quanto meticolosa a inchinarsi ai suoi vicini slavi), è partita subito all'assalto riconoscendo slovenia e croazia come indipendenti per il suo tornaconto economico (oltre che per contrastare noi) e in seguito anche il maledetto vaticano e gli yankee hanno fatto lo stesso. Alla fin fine pur non avendo simpatia per i serbi (men che meno verso il resto degli slavi) penso sarebbe stata una buona idea intervenire al loro fianco con il motivo che avremmo dovuto intervenire per proteggere la comunità italiana, nonostante eventuali proteste onu-usa-nato oltre alla Serbia avremmo avuto al nostro fianco sicuramente la Russia, grande alleato della Serbia, e forse anche la Francia, molto interessata a risolvere quella gazzarra a favore dei serbi (e magari anche della "sorella latina" in nome della vecchia intesa), purtroppo non è andata così e siamo tutti rimasti fregati a favore dei crucchi, degli staterelli slavi e dei cattocomunisti, nella loro solidarietà euro-internazionalista avrebbero ostacolato ogni movimento degli stati nazionali (e dire che in altri paesi costituiscono il fulcro della nazione quei partiti). Alla fin fine bisognava concordare un intervento per rimettere in riga i due staterelli e riprenderci l'istria fiume e la dalmazia (o almeno zara) e dare una lezione "morale" alla Germania, dimostrando che noi italiani non siamo quelli che vengono dipinti in altri paesi, ma un grande popolo pieno di risorse e di orgoglio!
ti correggo solo ne fatto che la germania riconobbe di corsa solo la slovenia, di fatto gli slavi più legati al mondo germanico.
Onde evitare che essa fosse invasa dalle truppe jugoslave (che effettivamente all'epoca erano sempre jugoslave). La croazia fu lasciata alla mercè delle truppe.
Se vogliamo la jugoslavia non aveva un "esercito" jugoslavo, ma vari eserciti di "difesa nazionale" delle repubbliche che la formavano.
Di fatto alal dichiarazione di indipendenza della slovenia, gli altri eserciti si misero a marciare verso di essa per ristabilirne l'ordine.
quindi anche l'esercito di difesa croato era in movimento verso nord. Ora non so per quale motivo, la croazia decise di dichiare l'indipendenza quando già gli altri eserciti erano entrati nel suo territorio.
Ora non so se è stata voluta o stupidità, ma oggettivamente che si aspettavano, che l'esercito jugoslavo (da adesso in poi leggasi serbo) andasse prima in slovenia e poi riscendesse in croazia?
ovvio che si arrestano in croazia e di fatto la guerra fu combattuta tra la croazia e la bosnia. Lasciando la slovenia moderatamente coinvolta in una guerra tra eserciti, iniziata principalmente per lei.
la germania andò semplicemente ad aiutare la sua protetta, perchè oggettivamente l'influenza tedesca di quelle terre si ferma alla slovenia.
dopo si apre tutta una zona di influenza italiana, dove spesso ci siamo messi tra le dispute croate e serbe per avere il guadagno a seconda della convenienza, con l'una o con l'altra.
La croazia fu riconosciuta dopo. Certo sempre di comune accordo ed i primi furono proprio germania e austria.
il vaticano non so.
politicamente si apprestava a riconoscere le due nazioni cattoliche della jugoslava.
negli intenti del papa, credo che pensasse che riconoscendole, si sarebbe fermata una guerra, che di fatto poteva tramutarsi in un altra guerra europea.
visto che in ballo vi erano anche interessi italiani, austriaci, ungheresi rumeni, albanesi e bulgari.
Non prendiamo sotto gamba la guerra jugoslava come una guerretta, quando è scoppiata, più di alcuni comandi militari nato credeva che potesse dilagare nell'europa balcanica ed interessare l'europa occidentale visto gli interessi dell'italia in mezzo.
Il problema è che un intervento nostro, oltre i confini della zona B, sarebbe stato visto come una guerra di aggressione, di fatto facendo di una delle nazioni sconfitte della seconda guerra mondiale, di nuovo una nazione che aggredisce.
Insomma pubblicità negativa a tutti i costi.
Credo anche che un intervento armato sarebbe risultato chiassoso e tardivo, come quasi tutte le cose che facciamo noi.
Se si voleva, anche solo formalmente reclamare le terre istriane, osimo non si sarebbe mai dovuto sottoscrivere.
non sottoscrivendo osimo, vi erano tutti gli estremi per reclamare la zona B, semplicemete perchè era reclamate la zona della tlt e non una zona jugoslava.
La firma alla rinuncia dell'istria, l'abbiamo messa nel 1975. Non nel 1991.
Come ha detto mars, nel 1991 si potevano rinegoziare a favore nostro molti trattati, ma anche li non fu fatto nulla, tanto la pietra tombale già c'era.
riporto un trafiletto che rende l'idea del trattato di osimo:
10 novembre 1975: nella cittadina marchigiana di Osimo il ministro degli Esteri italiano, Mariano Rumor, e quello jugoslavo, Milos Minic, firmano un trattato meritevole di entrare nel Guinness dei primati. Uno dei due contraenti, il governo di Roma, paga una serie di prezzi non da poco: la rinuncia alla sovranità italiana sulla zona B, la concessione di una zona franca italo-jugoslava, a cavallo del confine di Trieste, che apre a Belgrado una porta verso il Mercato Comune, più altri vantaggi materiali. L'altro contraente, la Jugoslavia, non dà contropartite di alcun genere, si limita ad incassare i lauti benefici.
Una sorta di curioso patto leonino, nel quale tutti i vantaggi vanno alla parte più debole, Belgrado, e tutti i danni a quella più forte, Roma. Siamo infatti in un momento nel quale l'Italia ha ormai il rango di quinta o di sesta potenza economica mondiale, nel mentre la Jugoslavia risulta già un paese economicamente allo sbando e segnato politicamente dalla generale previsione che, alla morte dell'ormai anziano dittatore Tito, tutto il suo castello politico sarà destinato alla crisi e forse allo sfascio.
Con il Trattato di Osimo si realizza tra l'altro un fatto politico-costituzionale di rilevanza assoluta: l'Italia accetta, tranquillamente, di sacrificare la sua integrità territoriale, senza che il mondo politico (salvo poche eccezioni) sembri quasi accorgersene. Bossi e le sue pretese di secessione possono ben vantare, in quel Trattato, un valido precedente a cui potersi richiamare nella loro volontà di spezzare il territorio nazionale!
e quello che è successo dopo:
16 gennaio 1992: morto da qualche anno il Maresciallo Tito, crollato il sistema dei regimi comunisti dell'Est, anche la Jugoslavia è giunta al capolinea ed al disfacimento. Al suo posto sono nate nuove realtà statuali. Sotto la pressante spinta di Bonn, due di questi nuovi stati, Slovenia e Croazia, vengono riconosciute dai paesi europei e tra questi anche dall'Italia.
Con questo atto di riconoscimento tutte le precedenti vicende, relative ai confini orientali d'italia (Trattato di Pace, Memorandum di Londra, Trattato di Osimo), risultano dunque superate e ciò proprio dall'accettazione italiana dei nuovi confini sloveni. L'Istria entra così inequivocabilmente ad essere parte o della Slovenia o della Croazia.
I negoziatori italiani pongono almeno due limitazioni, all'atto del riconoscimento: l'impegno di Croazia e Slovenia a garantire la tutela e l'unitarietà della minoranza italiana in Istria e, poi, la questione aperta della restituzione agli Esuli italiani dei beni immobili espropriati dal regime di Tito.
Sarà proprio su questi due temi (minoranza italiana e restituzione delle case) che si incentrerò, negli anni successivi, il contenzioso tra Roma, Lubiana e Zagabria. Contenzioso che con il ministro Martino, del Governo Berlusconi, arriverò a concretizzarsi nel veto italiano, a livello europeo, all'ingresso di Lubiana nell'Unione Europea; veto che verrà mantenuto dal successore di Martino, Susanna Agnelli, ed anzi fatto recepire dagli stessi organismi comunitari. Sarà infatti Bruxelles a ribadire che le porte europee resteranno sbarrate per la Slovenia, se Lubiana non avrò prima risolto il contenzioso con l'Italia.
Maggio 1996: siamo ormai all'ultimo atto. A Roma è stato appena formato il governo Prodi. Sottosegretario agli Esteri figura l'on. Piero Fassino il quale, prima ancora che il Senato abbia votato la fiducia al Governo di cui fa parte, si precipita a Lubiana per incontrare i governanti sloveni (tutti, come lui, ex comunisti doc) per consegnare alla Slovenia il bel pacco dono: la rinuncia italiana ad ogni veto, affinché le porte d'Europa si possano spalancare per Lubiana. Il tutto senza ottenere, e nemmeno chiedere niente di niente in contropartita.
La minoranza italiana e la sua unitarietà restano così in balia dei governanti sloveni; quanto ai beni rapinati agli Esuli il prode Fassino ottiene la vaga promessa che essi quei beni forse potranno ricomprarseli (da coloro che glieli hanno rubati). Promessa che, proveniente da un governo balcanico e di ex comunisti, ha comunque un grado di probabilità di realizzarsi che è molto prossimo allo zero.
Certo è che, trascorso ormai un anno da quel fulmineo viaggio lubianese del nostro sottosegretario, da parte slovena non si è visto passo di alcun genere. I segnali che giungono dalla Slovenia sono anzi decisamente di segno contrario (si parla di inesistenti limiti costituzionali, di ipotesi di referendum e così via), tanto da motivare espliciti interventi di richiamo da parte delle autorità europee (evidentemente poco inclini a prendersi in casa soggetti così poco affidabili). Ben più a ragione il presidente Prodi ed il viceministro Fassino dovrebbero farsi sentire e protestare con gli amici sloveni, ma così non è. Considerano, chiaramente, che con Lubiana, dopo aver ceduto tutto ed anche di più, non esiste ormai questione di sorta. Si limitano quindi ad uno stanco negoziato con la Croazia, nel quale è a tutti più che evidente che non ci potrò essere esito diverso da quello già realizzato con la Slovenia: una bella e solenne rinuncia, da parte italiana, ad ogni richiesta di giustizia per gli Esuli, ad ogni impegno di tutelare per gli italiani rimasti.
Sarò la conclusione coerente di una lunga vicenda di oltre cinquant'anni. Una vicenda nata male, proseguita peggio e conclusa in modo pessimo: con la bancarotta, totale e fraudolenta, della politica estera italiana sul confine orientale.