CITAZIONE (Irrto @ 5/2/2012, 12:41)
Esiste una legge del genere risalente all'epoca di Crispi????
Poteva essere sfruttata molto meglio specie in passato quanto sarebbe stata più efficacie, peccato
P.S. potreste mettere x cortesia maggiori dettagli su questa legge (numero e data, successive modifiche, ecc.)?
Eccoti l'evoluzione della legge sugli italiani non regnicoli, di crispiana memoria:
EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI ITALIANO
NON APPARTENENTE ALLA REPUBBLICA
SOMMARIO: 1. Cenni storici. - 2. Dalla Costituente fino alla Legge n. 91/92. -
2.1 Accesso agli uffici pubblici. 3. Normativa attuale e recenti
sviluppi giurisprudenziali
1. Cenni storici - Il problema dello status degli italiani non appartenenti alla Repubblica, fu
affrontato in Italia, per la prima volta, nell’ambito del dibattito in Assemblea Costituente, perché
l’Italia precedentemente conosceva solo il fenomeno dell’emigrazione, e quindi non aveva mai
dovuto affrontare il problema di
estendere i diritti ai soggetti che avevano perduto la cittadinanza
italiana.Bisogna, però, tener presente che, fin dall’epoca in cui era in vigore lo Statuto Albertino del 4
marzo 1848, vi era una eccezione rispetto a quanto appena detto: infatti anche per coloro che non
vivevano nei territori appartenenti al Regno Sabaudo, ma che
avevano realtà geografiche,
linguistiche e culturali conformi a quella italiana, fu dettata una legislazione che tutelava e garantiva
dette popolazioni, anche se in concreto non furono mai individuati con precisione i soggetti
destinatari.
Tutto ciò è dovuto alla circostanza che, in merito alla questione vi furono varie interpretaziole
quali risultavano destinate a soddisfare contingenze storiche, dipendenti e rispecchianti le fasi che
hanno caratterizzato il processo di unificazione dell’Italia. (1)
Durante il XIX secolo il legislatore si era prefissato lo scopo di unire l’Italia ed è per tal motivo che
in questo periodo, riguardo la questione degli italiani non regnicoli furono fatte molte proposte di
legge volte alla concessione della cittadinanza e dei diritti civili e politici agli italiani non ancora
riuniti al regno. In questo modo e con questi provvedimenti venivano ricompresi tutti gli italianinon appartenenti alla Repubblica dei territori che erano stati sotto il dominio dell’Italia. (2)
Il principio di nazionalità nello Stato italiano, anche se nel XIX secolo, ha avuto una grande
importanza più recentemente è stato abbandonato, sia perché lo
Stato italiano è fondamentalmente
uninazionale, sia perché la maggioranza delle persone avventi nazionalità italiana ha anche il
requisito della cittadinanza italiana. (3)
A proposito dei soggetti residenti nelle zone descritte, non si vede infatti la possibilità di utilizzare
né il criterio oggettivo, né quello soggettivo, che soli potrebbero fornire la giustificazione idonea a
comprenderli nella categoria in esame, a motivo dei vincoli di nazionalità che legano al nostroPaese gli italiani non appartenenti alla Repubblica. (4)
2. Dalla Costituente fino alla Legge n. 91/92 - La nostra Costituzione attribuisce rilevanza alla
nazionalità sotto due profili e cioè (art. 6) garantendo una particolare tutela alle minoranze
linguistiche (e con questa espressione ci si riferisce a quelle collettività di nazionalità non italiana
che si trovano in Valle d’Aosta, in Alto Adige e nella Venezia Giulia) e,
art. 51 c. 2, consentendo la
parificazione ai cittadini, ai fini dell’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, degli
italiani non appartenenti alla Repubblica. (5)
La disposizione contenuta nell’art. 51 c. 2 Cost. “la legge può, per l’ammissione ai pubblici uffici e
alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica”,
tratta di
italiani non appartenenti alla Repubblica, ma se dal lato formale vi è un’innovazione terminologicadal lato sostanziale si può dire che non siano state fatte innovazioni normative rispetto a quanto era
contenuto nella disciplina pre-vigente che parlava di italiani non regnicoli, ed era sanzionata dallo
Statuto Albertino. (6)
Nell’ottobre del 1947, durante la Costituente, l’On. Mortati propose di introdurre anche nella nostra
costituzione repubblicana la disposizione dello Statuto Albertino, di cui prima si è fatta menzione.
Tale proposta ottenne consenso in larga maggioranza, favorito anche dal contesto internazionale del
momento.(7)
Nei giorni successivi l’On. Ruini, ha ripreso la questione relativa all’art. 51 c. 2 Cost. che si stavascrivendo, il tutto al fine di tutelare gli irredenti. (8)
Anche nell’età pre-repubblicana vi era una tutela degli irredenti. Infatti, la questione degli italiani
regnicoli destava una grande attenzione, tanto che alcuni ritengono fosse maggiore di quella che ora
è dedicata agli italiani non appartenenti alla Repubblica. Qui ci si vuole riferire al periodo in cui vi è
un‘identificazione tra realtà politica e nazionale, la classe dirigente decise di rivendicare alla
collettività nazionale i singoli che
dimostrassero di far parte della nazione italiana; in tal modo
venivano assecondate le aspirazioni diffuse di un nuovo più particolaristico irredentismo. (9)
A sostegno anzi della norma l’On. Mortati insisteva nel dire che il principio già affermato dalla
precedente legislazione conosceva, ancora a quei tempi, attualità “poiché si verifica il caso di terre
che sono italiane ma non fanno più parte dello Stato italiano, sicché appare opportuno, da un punto
di vista politico, una affermazione che mantenga il principio”. (10)
Tuttavia sembra opportuno precisare che il disposto di cui all’art. 51 c. 2 Cost. introduce un
elemento innovativo per quanto concerne gli italiani non appartenenti alla Repubblica, perché in
esso non ci si riferisce solo all’accesso ai pubblici uffici, ma anche alle cariche elettive; qui veniva
compreso anche il Parlamento, punto che l’On. Meuccio Ruini giustamente pensava che fosse
necessario introdurre tale disposizione nell’articolo che si occupava delle eleggibilità in generale,
non soltanto al Parlamento ma anche ai Consigli comunali, provinciali e regionali, dovendo il
criterio da adottare essere unico e generale. (11)
Infatti la stessa questione si era presentata anche in altri paesi europei nella stessa epoca. I deputati,
infatti,
convennero sull’opportunità di costituzionalizzare un esplicito riconoscimento degli italiani
non appartenenti alla Repubblica al fine di tutelare quei cittadini che, in ragione della sottoscrizione
del Trattato di pace, con il quale furono definitivamente sottratte alla sovranità italiana le province
orientali annesse a seguito dei Trattati di Rapallo (1920) e di Roma (1924), oltre alle località di
Briga e Tenda lungo il confine con la Francia ed i possedimenti territoriali di epoca coloniale,
avrebbero perso nei mesi successivi ogni vincolo di appartenenza con lo Stato, pur rivendicando la
propria appartenenza nazionale italiana.
La dottrina più recente (12) sostiene che i gruppi di italiani che risiedono all’estero pur avendo
caratteristiche etnico-linguistiche italiane non hanno più quel sentimento di appartenenza alla
nazione; questo lo si poteva dedurre anche dal disposto costituzionale. (13)
INFICIANDO LE NORME SUGLI ITALIANI NON REGNICOLI E PERDENDO LA REPUBBLICA ITALIANA QUESTA SUO FUNZIONE DI PATRIA DI TUTTI GLI ITALIANI PER DIVENRE PATRIA UNICAMENTE DI COLORO CHE VI RISIEDANO, ITALIANI E NON!Nel secondo dopoguerra per qualche decennio gli equilibri fra le varie nazioni sancite dai Trattati
non erano stabili e, se si fa riferimento alle realtà demografiche di alcuni territori si può vedere che
queste
a seguito dei Trattati, nei quali veniva esercitato anche il diritto di opzione, a causa dei
rimpatri all’interno dei nuovi confini dello Stato da parte dei residenti di nazionalità italiana di
Istria, di Fiume, di Zara e delle isole della Dalmazia divenute straniere, la componente nazionale
storica scomparve in alcune località.(14)
I confini furono definiti dal Memorandum di intesa siglato a Londra il 5 ottobre 1954, ma il
fenomeno sopra indicato si protrasse fino alla fine degli anni ’50.
L’evoluzione del fenomeno anche se non poteva essere chiara alla Costituente ha portato
all’introduzione dell’art 51, c. 2 Cost., tenendo conto, di riflesso di quei riconoscimenti sul piano
normativo. Tuttavia, se da un lato lo
scopo dell’art. 51 c. 2 Cost. era quello di dare garanzia per la
conservazione dell’identità nazionale italiana nelle aree destinate a perdere ogni vincolo di
appartenenza statale con l’Italia; dall’altra si può dire che, quando venne attuato tale articolo, si è
verificato il venir meno degli avventi diritto a questa condizione. (15)
In dottrina vengono presentate tre condizioni:
1) nazionalità italiana;
2) condizione di straniero;
3) non aver acquistato volontariamente la condizione di straniero.
Tuttavia nessuna applicazione di tali parametri è risultata efficace in via assoluta, perché non ha mai
permesso di evitare scelte poco precise. Tale tesi era stata sostenuta da alcune teorie scientifiche
precedenti, nelle quali si affermava che questi parametri non possono essere applicati in via
assoluta, e che
le autorità possono scegliere i criteri per la determinazione della nazionalità in
relazione ai momenti storici. (16)
Un tempo si era pensato di determinare, l’appartenenza allo Stato degli italiani non appartenenti alla
Repubblica, considerando lo
ius sanguinis, che assume importanza decisiva con quell’insieme di
caratteristiche che si riconducono al concetto di nazione. Il legislatore per determinare tale status
aveva pensato di riferirsi ai parametri relativi alla: razza, lingua, religione e sentimento verso la
patria; tuttavia si accorse molto presto che tali parametri non erano sufficienti per la determinazione
di tale categoria ed è per questo motivo che fu elaborata una nuova definizione, cioè l’appartenenza
a
tale categoria veniva concessa a quegli italiani che avevano acquisito cittadinanza straniera,
indipendentemente dalla loro volontà. (17)
Negli anni ’70, invece, le leggi prendono in considerazione criteri concernenti la nazionalità in
senso individuale, venivano compresi i residenti delle regioni storicamente italiane, i quali
dimostravano di avere dei legami col nostro sistema politico e, quindi chiedevano di essere
ammessi. (18)
Alla stessa conclusione perviene anche la giurisprudenza, la quale non aveva consolidato dei criteri
selettivi, infatti il Consiglio di Stato sostiene che
la nozione di italianità è variabile. (19)Questi parametri non individuano la nazionalità, ma mettono in luce l’essenza storico-politica di un
determinato momento. Infatti la razza, lingua, religione e cultura hanno un peso, o se si vuole un
significato variabile, perché a seconda dei periodi si dà più importanza ad uno di questi elementi,
tanto che si può ravvisare che uno stesso carattere talvolta viene inteso e considerato con eccessivo
rigore formalistico, talaltra con ingiustificata larghezza. (20)
Inoltre, si può dire che tale differenza di valore nei diversi periodi di un determinato elemento può
essere dovuta a circostanze sopravvenute. (21)
In Italia, a differenza di quanto è successo in Germania non è stato codificato lo status di italiano
non appartenente alla Repubblica; infatti nonostante la riserva di legge prevista dall’art. 51 Cost.
non possa “non ricomprendere anche la definizione dello status relativo”, il legislatore repubblicano
non ha mai elaborato una chiara definizione della categoria. (22)
L’articolo in questione (art. 51 c. 2 Cost.) non ha trovato attuazione, perché lo Stato si è
maggiormente preoccupato di facilitare l’acquisto della cittadinanza, anziché di risolvere fin da
subito con una legge la questione degli italiani non appartenenti alla Repubblica.
L’unica innovazione che introduce tale articolo è quella relativa alla riserva di legge riguardo a tale
categoria nella sua equiparazione a quella di cittadini italiani; con tale riserva di legge dovrà essere
definito anche il relativo status.
Tutto ciò serve ad indirizzare i poteri dell’autorità amministrativa verso obiettivi ed entro limiti
ragionevoli. (23)
L’italianità di una persona, o di una collettività di persone sfugge ad ogni riconoscimento giuridico;un caso può essere ricordato facendo riferimento al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale. Il
caso verteva sulla posizione di una ricorrente al Consiglio di Stato in cui bisognava stabilire se
potesse esserle riconosciuta la qualità di italiano non appartenente alla Repubblica, poiché la
ricorrente aveva perso la cittadinanza italiana in conseguenza del matrimonio con uno straniero,
sulla questione il Consiglio di Stato si pronunciò positivamente; infatti egli affermò che la figura del
cittadino non appartenente alla Repubblica sarebbe in sostanza riassuntiva. (24)
La pronuncia del Consiglio di Stato è stata accolta criticamente dalla dottrina. Si è giustamente
osservato infatti, che in mancanza di elementi obiettivi certi, definiti preventivamente, è difficile, anzi impossibile, verificare in modo rilevante per il diritto se un individuo partecipa o non partecipa
all’italianità; né è possibile dire quali sono i valori e i comportamenti tipici della comunità italiana
intesa nel suo insieme.(25)
La tesi proposta dal Consiglio di Stato non può essere accettabile, perché fa derivare la qualità di
italiano non appartenente alla Repubblica da una valutazione fatta, caso per caso, dalla pubblica
amministrazione, anche nell’esercizio del suo potere discrezionale. Quindi si potrebbe pensare che
rispetto all’art. 51 prevalga ancora quella tendenza a salvaguardare i poteri della pubblica
amministrazione, anziché l’instaurazione di un rapporto armonico fra questa e il legislatore.
Tuttavia se risultasse vero quanto appena detto sarebbe opportuno per denunciare l’illegittimità
costituzionale di una norma che non assicura né il buon andamento né l’imparzialità
dell’amministrazione, arrivando a violare persino il principio di legalità. (26)
Questa omissione ha permesso alle pubbliche amministrazioni, nelle quali è accentuato il potere di
verifica, quando si presentava il problema dell’italianità, di avere ampi poteri discrezionali. (27)
In ogni caso l’interprete finisce col sostituirsi al legislatore, poiché ricollega degli effetti giuridici ad
una fattispecie che non è previamente determinata. Da ciò né consegue la violazione della riserva di
legge, anche se si vuole accettare l’interpretazione aggiornata. (28)
Riguardo l’individuazione dei destinatari, come si è già detto precedentemente, non sono mai stati
fatti interventi normativi di significativo rilievo. Infatti anche se l’art. 51 Cost. legittima la
parificazione degli italiani non appartenenti alla Repubblica ai cittadini rispetto l’accesso ai pubblici
uffici, tale disposizione consente una copertura costituzionale anche alle disposizioni pre-vigenti
riguardanti il c.d. “diritto di incolato”, ma si possono fare anche ulteriori integrazioni normative. Il
problema dell’inattuazione dell’art. 51 Cost. diventa più importante quando si prende in
considerazione l’accesso alle cariche elettive, perché l’assimilazione dei cittadini a questo profilo si
sarebbe tradotta come una scelta innovativa fatta dall’Assemblea Costituente. In questo modo vi
sarebbero stati soggetti che, pur non avendo alcun vincolo di appartenenza allo Stato avrebbero
potuto partecipare alla sovranità nazionale anche attraverso il voto politico; in tal modo vi è
un’equiparazione delle due categorie.
La questione è stata molto dibattuta e si era tentato di conciliare la ratio nazionalistica sottesa alla
previsione costituzionale con il permanente vincolo di appartenenza a Paesi stranieri degli italiani
non appartenenti alla Repubblica, tale vincolo però impediva una totale assimilazione ai cittadini
dello Stato. In dottrina si è data molta importanza ai limiti e divieti che interessano la costituzione e
si occupano dello status di cittadino, e non sono derogabili dal legislatore ordinario. (29)
Non vi sono dubbi per quanto concerne l’accesso ad alcune professioni, che comportano pubblici
poteri, per il cui accesso è previsto il requisito della cittadinanza, come ad es.: art. 119 c. nav., per la
funzione di capitano della marina mercantile, e art. 737, della stessa fonte per la funzione di
capitano di aeromobile. (30)
Gli italiani non appartenenti alla Repubblica possono essere ricompresi nella categoria dei cittadini
dalla legge, in merito all’accesso ai pubblici impieghi, restano tuttavia esclusi dall’accesso alla
magistratura. (31)
L’equiparazione era sancita dall’art. 1 legge sullo Statuto degli impiegati civili, T.U. n. 3/1957, e
dall’art. 7 legge comunale e provinciale T.U. n. 383/1934, nonché da altre leggi relative
all’esercizio di varie attività professionali e, naturalmente prescinde dal possesso della cittadinanza
italiana che potrà sopravvenire dopo l’assunzione al pubblico ufficio anche se facciano difetto per
l’acquisto tutti i requisiti richiesti dall’art. 4 della citata L. n. 555/1912. (32)
Per quanto concerne l’equiparazione degli italiani non appartenenti alla Repubblica ai cittadini
italiani, nell’ambito pubblico, occorre tener presente che l’art. 17 c. 2 della L. n. 555/1912, il quale
prevedeva che dovesse rimanere immutato ciò che era stabilito dalle leggi esistenti in merito alla
cittadinanza, concesso tramite decreto reale. (33)
Per l’accesso alle cariche elettive, diversamente da quanto accade per i pubblici uffici, la legge non
prevede alcuna parificazione degli italiani non appartenenti alla Repubblica ai cittadini. (34)
E riconosceva a questi particolari stranieri l’elettorato amministrativo, ed è stata superata dalla
legge n. 570/1960 che sul punto de quo ha omesso qualsiasi riferimento. Nei periodi successivi ci
furono interventi normativi volti ad attribuire lo stato di cittadini a tutti coloro che,
indipendentemente dalla categoria di appartenenza abbiano avuto oppure mantengono un legame di
appartenenza alla comunità nazionale e alla Patria d’origine. Ma, mentre nell’ambito delle
pubbliche funzioni con vari interventi normativi si sta arrivando ad una parificazione, nell’ambito
elettorale la disposizione costituzionale è rimasta inattuata. (35)
Fatto è che le elezioni comunali e provinciali sono regolate dal T.U. 16/05/1960 n. 570, il quale
stabilisce, art. 13, che sono elettori i cittadini italiani iscritti nelle liste elettorali compilate ai termini
della legge 7/10/1947 n. 1058, modificata con L. 23/03/1956 n. 137 e, successivamente, con L.
22/01/1966 n. 1, poiché questa normativa risulta predisposta ad un tempo per le elezioni politiche e
per quelle amministrative, non si trova inclusa in essa nessuna disposizione riguardante i soggetti di
cui si menziona. Ne è perciò derivata la conseguenza che gli italiani non appartenenti alla
Repubblica, hanno cessato di essere titolari anche del diritto di elettorato attivo nelle elezioni
amministrative. (36)
Anche se, in precedenza, si era ritenuto che, poco a poco, diminuissero i destinatari di leggi
riguardanti gli italiani non appartenenti alla Repubblica, e quindi l’utilità del disposto stesso in
materia, si può dire che sia necessaria un’analisi più accurata, partendo da un’interpretazione
evolutiva del dettato costituzionale adattando il significato di tale enunciato al mutare dei tempi,
ossia al cambiamento storico, sociale e normativo, in cui l’appartenenza nazionale parallelamente a
questi mutamenti si esprime in forme diverse; per questo motivo occorre accertare, sia l’esistenza di
destinatari, sia l’esistenza di eventuali beneficiari.
Se la risposta a tale interrogativo risulta affermativa comporta non solo una razionalizzazione della
disciplina precedente, ma anche essa ad una sua innovazione estendendola anche al piano
soggettivo, così che gli italiani non appartenenti alla Repubblica potessero avere dei diritti, in
ambito pubblico, assimilabili a quella dei cittadini. (37)
Come si è già visto la tutela degli italiani non appartenenti alla Repubblica che era stata proposta
durante l’Assemblea Costituente dall’On. Mortati, a seguito dei rimpatri conseguenti all’esercizio
dell’opzione venne un po’ trascurata, in quanto a seguito di detta opzione, molti italiani scelsero il
rimpatrio, altri, invece, subirono il processo di assimilazione della Jugoslavia. La dottrina ritenne
non ci fosse alcun dubbio sull’italianità di queste persone, ma sottolineò che non vi era la volontà di
formare un unico popolo.
Recentemente dopo la formazione dei governi di Slovenia e Croazia nel 1991 si è assistito allariscoperta dell’italianità di alcuni cittadini che vivono in questi paesi, nei quali seppur con alcune
difficoltà la minoranza etnica è riuscita ad ottenere una tutela, sia sul piano linguistico, sia su quello
culturale. (38)
Negli ultimi anni, inoltre, hanno avuto un riconoscimento giuridico e politico anche alcune piccole
realtà italiane sparse in varie località della (ex) Jugoslavia estranee all’area di insediamento storico
dell’Istria e del Quarnero e, addirittura, in altri Paesi d’Europa orientale, quali la Romania, pur
trattandosi di realtà spesso composte da poche centinaia di membri ed isolate in aree tali da rendere
assai difficoltosi, soprattutto nei decenni della separazione in blocchi dell’Europa, i legami con
l’Italia, queste comunità hanno mantenuto viva la propria appartenenza nazionale, conservando
l’uso della lingua italiana e delle tradizioni delle aree di provenienza, donde la loro astratta
sussunzione nella categoria in esame. (39)
Tuttavia per realizzare una piena tutela di tali minoranze occorre stabilire ulteriori requisiti
soggettivi. (40)
La dottrina, inoltre, per stabilire il criterio di determinazione dei destinatari dell’art. 51 c. 2 Cost.,
intende compiere un accertamento sul piano personale, che è volto a considerare l’appartenenzaculturale di ogni individuo, per
stabilire la sua appartenenza alla nazione italiana, non tenendo conto
se la sua origine, sia da ricondurre a territori che geograficamente appartenevano all’Italia. (41)
Con questa interpretazione la dottrina intendeva ricomprendere anche quegli italiani che sono
emigrati per lavorare all’estero, così che venga compensato il diminuire dei destinatari originari
menzionati in precedenza, ai quali all’art. 51 c. 2 Cost. era ispirato. (42)
Anche se tale tesi può destare interesse, risulta priva di un fondamento normativo, perché è in
contrasto con i principi costituzionali. (43)
Tale ipotesi, se la si comprende nel quadro normativo attuale, non può essere considerata
pienamente accoglibile, dal momento che, in primo luogo non vi è mai stato un precedente istituto
nel quale vi fosse riconosciuto lo status di italiani non appartenenti alla Repubblica a quei soggetti
che emigrano per lavoro; e in secondo luogo, perché vi sono difficoltà di accertamento di tale
condizione nella maggioranza dei casi. Da tutto ciò si può dedurre che
mancando una netta presa di
posizione del legislatore non si riesce ad individuare, quali attualmente debbano essere considerati i
soggetti destinatari della risalente normazione ordinaria gli originari italiani emigrati all’estero non
più cittadini. (44)
Anche il Cuocolo ritiene che non debbano essere compresi in questa categoria quegli italiani che
sono emigrati all’estero, per motivi di lavoro, rinunciando alla cittadinanza italiana per acquisirne
una straniera. Inoltre se da un lato è vero che questi individui, anche se emigrati, hanno un legame
forte, con la nostra nazione, è altrettanto vero che ricomprenderli nella categoria in esame
porterebbe a delle conseguenze inaccettabili, perché si verificherebbe un ampliamento di quella
categoria molto significativo e difficile da controllare. (45)
Il problema della tutela delle minoranze non è nuovo, perché di esso si erano occupati gli
ecclesiasticisti; i quali si proponevano di risolvere i problemi nei rapporti fra Stati moderni e gruppi
minoritari; il fenomeno religioso non riguarda solo la coscienza individuale, ma presenta anche
un’importanza nell’ambito sociale. (46)
Infatti le leggi dei vari Stati contengono in séun elemento di carattere religioso
Per affrontare il problema delle minoranze occorre stabilire, se si debba partire dalla tutela
dell’individuo o da quella del gruppo; per quanto concerne la prima, c’è una teoria liberale, che
valorizza l’individuo, per la seconda, cioè la tutela del gruppo, c’è il pensiero conservatore.
Entrambi però non portano ad alcuna soluzione. (47)
Assumono importanza quei diritti che incidono sul funzionamento del potere pubblico, e che vanno
sotto il nome di iura activae civitatis. Mentre un tempo nel nostro paese veniva dato più importanza
allo
ius sanguinis, in America veniva data più importanza allo
ius soli; la nostra disciplina è
regolata dall’art. 4 della L. 05/02/1992 n. 91, mentre per quanto concerne i lavoratori
extracomunitari occorre far riferimento all’art. 6 della L. 30/12/1989 cvt in L. 28/02/1990 n. 39. (48)
Il D.l. 30/12/1989 n. 416, convertito in legge 28/02/1990 n. 39, recante il titolo “Norme urgenti in
materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti
nel territorio dello stato”, disciplina le situazioni relative all’ingresso ed al soggiorno dei cittadini
extracomunitari, e regolarizza la posizione di coloro i quali, nei centottanta giorni successivi all’esecuzione del decreto, si fossero trovati presenti nel territorio. (49)
Dopo la legge del 1986 fu elaborata una nuova legge entrata in vigore nel 1990, ma non costituiva
un corpo organico e nemmeno risultava particolarmente innovativa. È per questo motivo che il
legislatore stabilì che non fosse abrogata la legge del 1986.
Lo stato dei cittadini extracomunitari risulta regolato in primis dalla legge n. 943/1986,
successivamente anche dalla legge n. 39/1990. Quest’ultima è intervenuta sotto alcuni ambiti come
ad es: ingresso e permesso di soggiorno, in maniera esauriente, in altri, invece, risulta incompleta,
perché non dispone l’attuazione di alcune disposizioni della legge del 1986, mentre nel caso
dell’asilo politico è intervenuta portando consistenti innovazioni. (50)
Per ottenere l’ingresso e il permesso di soggiorno in Italia occorre avere un visto che risulta
rilasciato dalle autorità di pubblica sicurezza entro otto giorni dall’ingresso stesso, ai sensi dell’art.
4 c. 3; e viene concesso se sussistono i requisiti stabiliti dalle leggi vigenti, e verificata l’assenza di
ragioni attinenti alla sicurezza ed all’ordine pubblico, ai sensi dell’art. 4 c. 12. (51)
Se il soggetto vuole svolgere un’attività lavorativa deve essere in possesso di un ulteriore requisito.
Occorre ricordare, infatti, che la legge n. 943/1986 disponeva che il Ministero del lavoro, previa
intesa con i Ministeri dell’interno e degli affari esteri, era abilitato ad emanare, sentita la
Commissione centrale per l’impiego e la Consulta per i problemi dei lavoratori extracomunitari e
delle loro famiglie, le direttive di carattere generale in materia di impiego e di mobilità
professionale dei lavoratori subordinati extracomunitari. (52)
Per l’inserimento lavorativo vi sono delle liste di collocamento, le quali privilegiano per primi gli
italiani disoccupati, in secondo luogo i cittadini dell’Unione Europea ed infine quelli
extracomunitari. La legge n. 39/1990 stabilisce che il governo debba collegare la quantità di
ingressi, in relazione alle disponibilità finanziarie e delle strutture amministrative volte a garantire
un’adeguata accoglienza ai cittadini extracomunitari.(53)
Il permesso di soggiorno e l’ingresso, oltre ad essere strettamente connessi ad elementi di ordine
pubblico, di pubblica sicurezza e di carattere sanitario, occorre che sia indicato anche il possesso di
un alloggio. (54)
Anche in questo caso alcuni si interrogano sull’eventualità di estendere a questi soggetti che non
hanno la cittadinanza italiana, l’elettorato attivo e passivo. (55)
La fine del discorso si ricongiunge al suo inizio: la problematica, cioè delle garanzie delle
minoranze entro uno Stato si ricongiunge con la problematica della garanzia delle nazionalità oltre i
confini dello Stato, delle comunità sopranazionali, della drammatizzazione delle frontiere, fino ad
una relativizzazione dello stesso principio di sovranità nazionale. (56)
In mancanza di nuovi parametri per la determinazione dei destinatari alla disposizione in esame, è
importante applicare quello che risulta fondato sullo stabile legame fra un gruppo nazionale ed il
territorio; il quale potrebbe essere strumento selettivo che serve per limitare l’attività discrezionale
dell’amministrazione nel riconoscimento in capo ad un determinato individuo dello status di
italiano non appartenente alla Repubblica, individuando anche chi ha diritto di godere del
trattamento di favore benché limitato, previsto dalla risalente normativa ordinaria.(57)
Gli italiani non appartenenti alla Repubblica sono soggetti all’applicazione di norme che valgono
per gli altri stranieri, tuttavia si distinguono da essi, perché nelle norme a loro rivolte vi sono delle
eccettuazioni; il fatto che gli italiani non appartenenti alla Repubblica siano soggetti a delle norme che valgono anche per gli stranieri non prescinde l’applicazione di norme rivolte ai cittadini italiani,così come lo prevedeva anche la L. n. 555/1912. (58)
Dal momento che l’art. 51 e, più precisamente al c. 2 Cost., non aveva trovato attuazione il
legislatore decise di provvedere con la legge n. 91/92; siccome l’art. 51 prevede una riserva di
legge, detta legge dovrà stabilire lo Stato di appartenenza alla Repubblica. (59)
Le opzioni legislative degli anni ’90 sono volte a soluzioni più dirette per quanto riguarda lo Stato
di italiano non appartenente alla Repubblica, stabilendo che diventava cittadino italiano, chi
dimostrasse di avere qualche vincolo con l’Italia fondato, sia sull’ascendenza familiare che
sull’appartenenza nazionale, e anche da parte dei potenziali italiani non appartenenti alla
Repubblica.
La legge 05/02/1992 n. 91 all’art. 18(60) prevedeva che fosse concessa la cittadinanza agli stranieri e
ai loro discendenti in linea retta, che risiedevano nell’impero austro-ungarico, e che avessero
risieduto in Italia i tre anni prima della presentazione della domanda. (61)
Alcune disposizioni della Legge ordinaria dello Stato n. 91/92 hanno l’intenzione di facilitarel’acquisto della cittadinanza in capo agli stranieri discendenti di cittadini italiani, l’elezione della
stessa è prevista per i residenti al compimento del 18° anno di età (art. 4 c. 1, lett. c) o la riduzione
del periodo di residenza in Italia richiesto per la naturalizzazione negli altri casi (art. 9 c. 1 lett. a).
L’art. 17 (62) si occupa delle modalità di assunzione della cittadinanza di coloro che l’avevano persa,
a causa di norme specifiche che erano in vigore precedentemente. (63)
I soggetti contemplati nell’art. 18, ai sensi dell’art. 9 c. 1 lett. a) sono equiparati, agli stranieri di
origine italiana o comunque nati nel territorio della Repubblica; ossia è loro concessa la cittadinanza
italiana per naturalizzazione a seguito di un periodo di residenza in Italia ridotto a tre anni. Non è
applicabile nei loro confronti l’art. 4, c. 1, lett. c), fatto salvo dall’art. 9, c. 1, lett. a), considerato lo
Note:
( (59) P. PERLINGIERI, Commento alla Costituzione italiana, 2° ed., Edizioni scientifiche, 2001, p. 350.
(60) Le persone già residenti nei territori che sono appartenenti alla monarchia austro-ungarica ed emigrate all’estero
prima del 16 luglio 1920 ed i loro discendenti in linea retta sono equiparati, ai fini e per gli effetti dell’articolo 9,
comma 1°, lettera a), agli stranieri di origine italiana o nati nel territorio della Repubblica. (art. 18, Legge n. 91 del 05
febbraio 1992).
stesso disposto dell’art. 4 che si riferisce unicamente ai discendenti in linea retta di coloro che sono
stati cittadini per nascita.(64)
Si è sicuri che l’art. 18, della legge in esame, si riferisce a quei territori che, in conseguenza del
Trattato di Saint Germain, sono divenuti italiani; con l’espressione territori si allude a quelle zone,
ora soggette alla sovranità italiana, che erano in passato appartenute all’impero austro-ungarico. (65)
2.1 Accesso agli uffici pubblici - L’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive può essere
inteso quale contenuto in un diritto soggettivo che assume la qualifica di pubblico; si può pertanto
dire che si tratti di un diritto soggettivo pubblico avventi ad oggetto uno specifico potere; infatti chi
usufruisce di tale diritto soggettivo pubblico, può, sia candidarsi a concorsi pubblici per assumere
un determinato ruolo nell’ambito della pubblica amministrazione, sia candidarsi alle elezioni
politiche ed amministrative. (66)
Qualche studioso rileva che tale categoria di diritti politici soggettivi, molto vasta, ma poco
dettagliata, nei sistemi moderni ha avuto un discutibile successo venendo ricompreso nei diritti
fondamentali. La discutibilità di tale scelta è dovuta al fatto che se da un lato amplia la tutela del
cittadino, dall’altro rischia di far venire meno gli aspetti essenziali relativi al contenuto di tale
struttura e, al contenuto della situazione giuridica soggettiva, in quanto viene condizionata dalleinterferenze con il principio di uguaglianza, dall’ambito della discrezionalità legislativa nella
fissazione dei requisiti di accesso, dalle questioni sul carattere precettivo o programmatico della
disposizione costituzionale. (67)
L’art. 51 Cost. pertanto non può essere inteso come una ripetizione e, quindi assorbito dall’art. 3
Cost., perché occorre condurre l’analisi mediante un’interpretazione sistematica coordinando
questo, art. 51, con i primi quattro articoli della Costituzione, dove si ricaverà che il principio
contenuto in tale articolo risulta fondamentale nell’ordinamento caratterizzato dal riconoscimento di
un diritto inviolabile (art. 2) di carattere politico (Corte Cost. 3 marzo 1988 n. 937) che concorre a
garantire un’effettiva partecipazione democratica del cittadino all’organizzazione politica della
Repubblica (art. 3).
Il dettato dell’art. 51, sia in relazione al precedente Statuto Albertino, sia in relazione alle
costituzioni contemporanee, si distingue, per la circostanza che esso determina un’innovazione
molto significativa, in quanto estende l’accesso non solo ai pubblici uffici, ma anche a tutte le
cariche elettive. (69)
3. Normativa attuale e recenti sviluppi giurisprudenziali - La Legge n. 379 del 14/12/2000
sostituì l’art. 18 L. n. 91/92 prevedendo lo status di cittadino, con una dichiarazione e senza obbligo
di residenza nel territorio italiano, per coloro che erano nati e già residenti nei territori, dell’impero
austro-ungarico ed emigrate all’estero prima del 1920. (70)
In termini ancora più facilitativi rispetto all’acquisto dello status civitatis, la recente L. n. 124/2006
(rubricata “Modifiche alla legge n. 91/92, concernenti il riconoscimento della cittadinanza italiana
ai connazionali dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia e dei loro discendenti”) ha introdotto nella
legge del 1992 gli artt. 17 bis e 17 ter, in forza dei quali il diritto alla cittadinanza è riconosciuto ai
soggetti che siano stati cittadini italiani, già residenti nei territori facenti parte dello Stato italiano
poi ceduti alla Jugoslavia in forza dei Trattati di Parigi e di Osimo, alle condizioni previste ed in
possesso dei requisiti per il diritto di opzione di cui ai Trattati stessi (lett. a) e, inoltre alle persone di
lingua e cultura italiane che siano figli o discendenti in linea retta dei soggetti di cui alla lettera a
(lett. b). (71)
Il testo che si sta trattando ha suscitato delle polemiche da parte della Slovenia e Croazia, deve
tuttavia essere precisato che per l’acquisto della cittadinanza il richiedente dev’essere in possesso
dei seguenti requisiti:
in primo luogo presentazione di documenti;
in secondo luogo conoscenza della lingua italiana;
in terzo luogo appartenenza alla relativa cultura.
A partire dal 2006 il legislatore ha cercato di evolvere il processo di accertamento introducendo due
nuovi parametri; questi servono per orientare le Amministrazioni coinvolte e ad impedire il rilascio
consistente nella presentazione di domande da parte di chi ha diritto.
Tuttavia occorre sottolineare che quando coloro che risultano idonei alla presentazione delle
domande acquisteranno la cittadinanza italiana, si attenuerà sempre più il fenomeno degli italiani
non appartenenti alla Repubblica. (72)
Molte scelte legislative in tema di cittadinanza, così come quelle indicate nella L. n. 124/2006
risentono della risalente concezione di matrice liberale secondo la quale il vincolo di appartenenza
allo stato doveva fondarsi, in linea di principio, sull’identificazione tra cittadinanza e nazionalità.(73)
Questo fenomeno evolutivo ed irreversibile dev’essere ricondotto all’affermazione di cittadinanza
della Corte europea negli anni ’70, cristallizzata dal Trattato di Maastricht (1992, entrato in vigore
nel 1993), ed oggi riconosciuto dal Trattato costituzionale europeo.
Non si sa ancora lo sviluppo del concetto di cittadinanza a quale risultato possa condurre, ma si è
sicuri che sarà di grande importanza. Il dato che occorre sottolineare, in particolare, riguarda l’idea ispiratrice sottesa alla previsione del Trattato di Maastricht, che trae alimento non soltanto
dall’obiettivo di rafforzare gli istituti di partecipazione dei cittadini alla vita delle istituzioni
comunitarie, ma soprattutto dal perseguimento dell’integrazione degli stranieri comunitari-residenti
nello Stato ospitante attraverso la titolarità e l’esercizio di alcuni diritti previsti dallo stesso
Trattato.(74)
I principi che si perseguono sono: quello della libera circolazione della cittadinanza nel territorio
europeo e quella della non discriminazione sulla base della nazionalità, che non è indicativa del
legame effettivo o esclusivo, che ha un individuo con una determinata comunità sociale e politica.
Inoltre il carattere recessivo del disposto costituzionale in commento sembra essere accentuato dallo
status civitatis. (75)
Gli italiani non appartenenti alla Repubblica, residenti nel territorio della Slovenia possono, dopo
l’ingresso di questa nell’Unione Europea, in base alla semplice residenza in Italia, esercitare i diritti
loro riconosciuti, in quanto cittadini europei, come gli sloveni stessi, e non in quanto appartenenti alla minoranza nazionale.
(72)
Lo stesso trattamento avranno anche quegli italiani che sono residenti in Croazia, quando anch’essa
entrerà a far parte dell’Unione Europea. (76)
Occorre rilevare che l’art. 37 del D. lgs. n. 29/1993, come modificato dal D. lgs. n. 165/2001,
consente l’accesso ai posti di lavoro presso la pubblica amministrazione italiana, con la sola
esclusione di quelle attività che comportano “esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri” ossia
“attengono alla tutela dell’interesse nazionale”. (77)
Quindi anche per i cittadini dell’Unione Europea sussiste lo stesso limite di assunzione che c’è per
gli italiani non appartenenti alla Repubblica, infatti questi ai sensi dell’art. 2 c. 6 T. U. 10/01/1957
n. 3 sono esclusi da alcuni concorsi.
Vi è un riconoscimento dello stesso diritto tanto dalla disciplina del D. lgs. n. 29/1993, quanto da
quella previgente, relativa agli italiani non appartenenti alla Repubblica.
Quest’ultima pare recessiva, non solo limita l’accesso al pubblico impiego ai cittadini dell’Unione
Europea, ma la valutazione va affidata a dei parametri ed alla discrezionalità dell’Amministrazione.
La
recessività dello Stato di cittadini comunitari e di italiani non appartenenti alla Repubblica risulta
maggiormente evidente, in riferimento all’elettorato attivo e passivo, e alle elezioni europee ed
amministrative. (78)
Il disposto dell’art. 51 c. 2 Cost. in linea di massima potrebbe essere oggetto di esame per il
legislatore che ha la necessità di risolvere delle contingenze; infatti oltre che per gli italiani non
appartenenti alla Repubblica o per i cittadini comunitari, gli interventi legislativi, che possono
derivare dall’esame di tale disposto costituzionale possono interessare le minoranze etniche del
nostro paese derivanti dall’entrata di lavoratori extracomunitari per colmare il fabbisogno di mano
d’opera, ma anche per
rafforzare i rapporti economici e culturali con le comunità italiane nel
mondo. (79)
Il problema della tutela delle minoranze si presentava nel nostro territorio in alcune zone del
confine, in queste si trovavano gruppi di persone che avevano una cultura e lingua diversa da quella
nazionale dominante. Prerogativa del nostro ordinamento pertanto è stata quella di favorirel’integrazione di questi gruppi minoritari anche mediante la formulazione dell’art. 6 Cost. In verità,
inizialmente, non era stato previsto il verificarsi in maniera significativa del fenomeno migratorio.
Una sorta di tutela poteva intravedersi considerando l’art. 10 Cost., il quale stabiliva la possibilità di concedere l’asilo politico per chi lo richiedesse, per motivi politici, in quanto soggetto perseguitato;
tuttavia occorre precisare che al tempo della Costituente non era stato previsto il fenomeno
dell’immigrazione, così intenso come sta accadendo in questi ultimi anni. (80)
Infatti la Costituente si era orientata in prevalenza alla tutela dei gruppi etnici diversi da quello
italiano che si trovavano nelle varie zone di confine (le c.d. minoranze superprotette) cercando di
favorirne la loro integrazione, ma ignorava che alcuni decenni dopo arrivassero da altri paesi in
maniera significativa persone che cercavano lavoro ed assistenza, introducendo anche esse nuove
culture che devono essere integrate con quella italiana. (81)
La politica legislativa italiana per regolare l’immigrazione dovrebbe effettuare una scelta di coloro
che devono entrare con misure dirette ad assicurare un trattamento sia legale che di fatto rispettoso
dei diritti della persona. (82)
Per quanto concerne la scelta non si è ancora riusciti ad individuare il criterio idoneo, per quanto,
invece, riguarda l’applicazione di una legislazione, una volta che la legge è attuata non sempre si è
Una sorta di tutela poteva intravedersi considerando l’art. 10 Cost., il quale stabiliva la possibilità di in grado di farla rispettare. (83)
La regolamentazione dei soggetti (84) non italiani che si trovano nel nostro paese deve essere
strettamente collegata alla disciplina che sanziona l’ingresso, il soggiorno ed i casi di espulsione,
osservando, in generale, come la stessa logica sottesa agli accordi di Schenghen, nel valutare
positivamente il processo di assimilazione culturale, sociale ed economico già in atto nei singoli
stati, prevede l’allineamento delle legislazioni degli stati membri in materia di ingresso e
l’eliminazione degli ostacoli posti alle frontiere intra-comunitarie. (85)
L’esiguità dei provvedimenti realmente portati ad esecuzione (2% circa rispetto a quelli irrogati),
non può che far deporre per un giudizio negativo sulla reale efficacia di tali disposizioni. La
conseguenza di questa in esecuzione dei provvedimenti si riverbera inevitabilmente sullo status dei cittadini extracomunitari in posizione regolare, nei confronti dei quali lo stato stenta a garantire
effettivamente quanto assicurato a livello formale. (86)
The End.
Edited by simon1971 - 7/2/2012, 13:49