spartaco schergat |
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È il 2 agosto del 1991. La Jugoslavia, o quel che resta di quella che fu la «creatura» di Tito, brucia. La Slovenia e la Croazia se ne sono andate. La Serbia reagisce e i suoi connazionali della Slavonia proclamano l’ indipendenza. Zagabria risponde al fuoco. È l’inizio delle fine. Eppure in quel fatidico 2 agosto Gianfranco Fini, allora segretario nazionale dell’ Msi-Dn, si reca a Belgrado accompagnato dal dirigente del dipartimento esteri del partito, Mirko Tremaglia e dal presidente del Fuan Roberto Menia (oggi deputato triestino di An). Oggetto dell’incontro è «un’eventuale richiesta dell’Italia per la restituzione dell’Istria e della Dalmazia». Fini decide di partire perchè la commissione Esteri della Camera guidata dal presidente Piccoli non aveva posto nella sua agenda i temi proposti dal leader missino. Ma non basta. Fini sostiene di essere venuto in Jugoslavia anche per dare appoggio alla Repubblica serba relativamente ai diritti umani e ai confini. Fini relaziona poi gli esiti dei suoi incontri all’allora capo dello Stato Francesco Cossiga e conferma che esponenti del Movimento di rinascita serbo hanno esplicitamente detto alla delegazione dell’Msi-Dn di trovare legittima una richiesta sull’Istria e sulla Dalmazia. Chi viene indicato come il «grande mediatore» dell’operazione Istria e Dalmazia è l’allora senatore socialista Arduino Agnelli. «Sono tutte fandonie, gigantesche balle, solo illazioni giornalistiche», sostiene oggi l ’ex inquilino di palazzo Madama al quale è stata imputata una lunga «liason» con i serbi. «Sono stato a una riunione dell’autoproclamato parlamento serbo a Beli Monastir nel 1993 - conferma Agnelli - perché mi trovavo a un convegno nella vicina Subotica, ma non si parlò di cessioni territoriali. Cosa che peraltro confermai in una conferenza stampa a Belgrado». «Se ci fossero state possibilità in questa direzione - aggiunge Agnelli - De Michelis avrebbe allora già fatto le sue mosse. Certo Fini aveva tutto l’ interesse che se ne parlasse anche per rompere l’accerchiamento mediatico di cui erano vittime lui e il suo partito». Insomma un gigantesco «ballon d’ essai» ma che aveva sotto sotto qualcosa di vero. Frange dell’esercito federale jugoslavo, infatti, chiesero allora aiuto militare diretto all’ Italia. Ne riferì anche l’allora «attachè» militare italiano a Belgrado, generale Mazzaroli che valutò comunque le proposte come scarsamente realiste. Da parte sua l’Esercito italiano prese in seria considerazione un eventuale intervento armato in Istria per difendere gli interessi nazionali della pesca e della nostra minoranza. «Ma l’avveduta politica posta in essere dai sindaci istriani - spiega ancora Agnelli - con in testa il borgomastro di Pola Del Bianco, scongiurarono ogni intervento e questa rimase solo un’ipotesi».
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